DONNA DI CLASSE IN CUCINA. Pesce di laguna nel piatto e champagne nei bicchieri. Un’abbinata di alto livello, soprattutto se in cucina c’è Serena Franzolin e se le bollicine sono di Laurent-Perrier. All’Osteria Frase di Piove di Sacco Francesco Luise ha diretto con sapienza la serata battezzata Bollicine in laguna, che è iniziata con uno scartosso di acquadelle e salicornia fritte. È una piccola immersione nella memoria, per risalire ai tempi in cui la frittura era davvero presentata così al mercato e nei bacari. La ricordano bene Francesco e Serena: lui ha 44 anni ed è figlio d’arte perché è cresciuto in un’enoteca; Serena ha 42 anni, ha lavorato nei banchi di pesce e poi ha studiato – anche con Gualtiero Marchesi – per affinare la sua grande passione, la cucina. Il risultato è l’Osteria Frase, acronimo dei due nomi, aperta da poco più di un anno: Francesco e Serena hanno suggellato così l’unione professionale dopo quella personale, visto che si sono sposati e hanno due figli.
Se è vero che, come sosteneva Anthelme Brillat-Savarin, “la scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella” la tartara di otregano dorato è una piacevole sorpresa: questo pesce, cugino nobile del cefalo, va giustamente valorizzato come merita perché la sua carne è gustosa. E Serena ne esalta le qualità, presentandolo crudo con l’osmosi di mango.
LA POLENTA E I GAMBERETTI. È invece un classico, ma non per questo meno apprezzato, un altro piatto presentato durante la serata: gamberetti di laguna fritti su crema di mais biancoperla. Come dire: croccantezza e morbidezza, l’alfa e l’omega della cultura gastronomica di quel territorio che è il Piovese, sospeso tra acqua e terra. La polenta, del resto, è un altro ricordo profondamente aggrappato alla nostra storia di veneti: il mais bianco è più delicato, certo, più adatto al pesce, ma sia pure trasformato in crema resta valido anche per questo ingrediente la definizione che della polenta dava lo scrittore Virgilio Scapin: “Il dorato mangiare dei poveri”. E nel Veneto poveri lo siamo stati fino a non molti decenni fa.
LO CHAMPAGNE. Le bollicine di Laurent-Perrier sono state presentate agli oltre quaranta presenti da Alessandro Bartoli e Alessandro Baù, che hanno svelato molti particolari della produzione della casa, fondata da André e Michel Pierlot nel 1812, anno in cui Napoleone affrontava la campagna di Russia, e attestata oggi a quasi otto milioni di bottiglie. L’uomo decisivo della Casa è stato Bernard de Nonancourt, figlio di Marie-Louise Lanson de Nonancourt: fu lei ad acquistare l’azienda vinicola a Tours sur Marne che diventerà nel 1838 Laurent-Perrier. A guidare l’azienda era destinato il figlio maggiore, Maurice, che morì in un campo di concentramento nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma il secondogenito Bernard (1920-2010) come il fratello attivo nella Resistenza francese si rivelò la figura decisiva che guidò lo straordinario sviluppo della Laurent-Perrier, portandola nel 2005 a essere la terza produttrice di champagne.
LA FORTUNA DI LAURENT-PERRIER.
Cinque gli champagne in degustazione, a partire dalla celebre Cuvèe, 55% chardonnay, 35% pinot nero e 15% pinot meunier. Lo chef de cave, Michel Fauconnet, spiegava così di recente il segreto di questo vino: “Lo chardonnay di Laurent-Perrier è immutabile e permette di avere una bella longevità, una bella freschezza, donando a questo brut una personalità unica. Altra peculiarità di estrema rilevanza è il tempo d’invecchiamento in cantina: ben quarantotto mesi, per permettere l’ottimale evoluzione degli aromi”.
La Laurent-Perrier ha portato le sue vendite da 214mila a 220mila bottiglie in Italia (dato 2016). A questo risultato ha sicuramente contribuito anche l’Ultra brut nature: fu proprio Bernard a inventare questa tipologia nel 1980. Ma non fu la sua unica innovazione, perché nel 1959 aveva creato la riserva La grand siecle, composta di uve chardonnay per il 55% e 45% di pinot nero. Lui non credeva ai millesimi, perché sosteneva che “la natura non darà forse mai l’annata enologica perfetta”. Quindi è meglio estrarre da ogni anno il meglio e vinificarlo al meglio. Lo champagne assaggiato da Frase comprendeva uve del 2002, 2004 e 2006. Una curiosità: il nome lo scelse Charles de Gaulle, a capo della Resistenza prima e quindi Presidente della Repubblica francese: il Grande Secolo cui fare riferimento, secondo De Gaulle, era il Settecento, quello del Re Sole.
LE MOECHE, GRANCHI SENZA GUSCIO. Dopo il cappuccino di seppie alla veneziana, Serena ha presentato le moeche della Giudecca in due versioni: fritte e in saor. A dir la verità anche quella in saor è fritta, ma poi si aromatizza grazie alla cipolla. La raccolta delle moeche è frutto del lavoro della famiglia Bognolo, presente alla serata, ultimi moecari della Giudecca. La moeca, infatti, nasce alla Giudecca e furono proprio loro a insegnare ai buranelli l’arte della pesca di questi particolari granchi, che si pescano in alcuni momenti dell’anno – esattamente durante la muta – in quanto sono senza guscio. È un tipo di crostaceo talmente radicato nella tradizione veneziana che il leone di san Marco, cioè il simbolo della Serenissima, raffigurato raccolto e rotondo (per esempio sulle monete) è appunto detto leon in moeca.
Altri due pesci d’acqua dolce non potevano mancare alla serata e sono stati presentati in alcuni piatti tradizionali: uno è il ghiozzo, che è stato protagonista del risotto de Gò, e l’altra è l’anguilla (bisato in dialetto veneto) che Serena ha cucinato in due versioni, cioè in umido e ai ferri ma sempre gustose.
La tartara di otregano dorato e osmosi di mango, piatto di Serena Franzolin di particolare gusto. L’otregano è il (poco conosciuto) cugino nobile del cefalo