MOZART, UOMO D’AMORE. Scrive Lorenzo Arruga, che a quasi 82 anni (li compia il 12 giugno) è una leggenda vivente della critica musicale: “Nulla si comprende di Mozart se non si sente, come sorgente sottintesa irresistibile, l’amore”. E cita una frase di Giorgio Strehler, suo interprete meraviglioso: “Mozart, uomo d’amore”. Voleva significare, aggiunge, “che nella sua musica c’è qualcosa di misterioso che non si potrà mai spiegare, come l’amore”. Dove trovi le prove di questa affermazione? Semplice. Vai a spiare laddove uno si confidava prima dell’era delle e-mail e soprattutto prima che Mark Zuckerberg inventasse Facebook: frughi nelle sue lettere. Il compito, molto più che un raffinato sfizio, perché mette insieme passione e ricerca, se l’è assunto il festival delle Settimane musicali al teatro Olimpico, un classico della classica giunto alla 28esima edizione. Tra concerti, conferenze, giovani alla ribalta, perfino un concorso pianistico nazionale, il festival ha lanciato a Vicenza un affascinante Effetto Mozart che ha seguito le tracce di Amadeus in cammino tra le donne, come spiega il sottotitolo.
IL MITO SALE SUL PALCO, UNO E TRINO. Un altro mito, stavolta del teatro, come Giancarlo Giannini ha scelto le lettere di Mozart, di cui cui ha recitato i passi più curiosi. A fargli da contrappunto, sul palco del teatro palladiano, la violinista Sonig Tchakerian, da quest’anno direttore artistico del festival e il pianista Roberto Prosseda. Da un lato la voce profonda di Giannini dà vita al Mozart che scrive alla sorella, alla cuginetta, alla moglie Costanze e anche a una baronessa che inonda di superlativi. (“Amatissima, eccellentissima, bellissima…”). Dall’altro i musicisti esprimono il genio compositivo del Nostro eseguendo i brani delle sonate per violino e pianoforte, magnificando le tre qualità che proprio Mozart riteneva necessarie per un perfetto esecutore: “Intelligenza, cuore e dita”.
SONIG, VIOLINISTA SCALZA. Stavolta è realtà. Anzi, di più. Perché il risultato dello spettacolo è maggiore della somma delle parti. Del resto, Sonig Thackerian è una delle migliori violiniste europee, titolare di una masterclass all’accademia di Santa Cecilia a Roma. Un grande risultato per quella bambina armena che iniziò a suonare con il papà ad Aleppo, in Siria, dov’è nata. Si presenta sul palco scalza: spiega che si sente più concentrata. A me piace pensare che sia una piccola dichiarazione di nudità, di povertà, un omaggio alle sofferenze di molti bambini siriani di oggi. Sonig ha una cavigliera, le unghie dipinte di rosso (e lei ha spesso un tocco di rosso nelle foto ufficiali, dalle scarpe all’archetto) ma esegue il concerto a piedi nudi; talvolta nell’impeto dell’esecuzione si alza sulle punte. Dal canto suo Roberto Prosseda, 44 anni, magari è noto per i suoi spettacoli-recital di lirica con Stefano Belisari (l’Elio delle Storie Tese) ma al suo attivo ha esecuzioni di alto livello: tanto per dire, ha eseguito i concerti di Mendelssohn con cinquanta orchestre negli ultimi dieci anni. Per Giannini, poi, basta solo il nome: questo vivace e brillante signore di 77 anni ha inciso il suo nome nel cuore di tutti già a 24 anni quando ha interpretato David Copperfield in televisione e da lì non se n’è più andato. Magari ci ha aggiunto qualche battito in più quando ha recitato nei film di Lina Wertmueller. Però oggi ricorda che il teatro non morirà mai, mentre il cinema… ormai è tutta un’altra cosa. Era preveggente il suo amico Federico Fellini quando 45anni fa gli spiegava che il cinema sarebbe diventato qualcosa di molto diverso da quello che costruivano assieme. E non aveva ancora visto niente dell’era digitale, ma aveva capito tutto. I geni sono così: da un dettaglio che a noi scivola via loro costruiscono una visione. E ci azzeccano.
COME “BIS” UNO SPLENDIDO MARC’ANTONIO DA SHAKESPEARE. Il bis all’Olimpico ha regalato altre emozioni, esplorando autori diversissimi e non in programma. Tchakerian e Prosseda hanno eseguito la Campanella di Paganini, impeccabile pezzo di alto virtuosismo e non solo frizzante, un evergreen per il pubblico, mentre Giannini ha cambiato registro e ha affrontato l’orazione funebre di Marco Antonio dal Giulio Cesare di Shakespeare. Non esattamente una sinecura, bensì un pezzo notissimo e complicato per i diversi registri da scalare, e comunque un bel confronto visto che è nel repertorio di tutti i grandi attori. Però, se tutti ricordano quel monologo di Marlon Brando recitato nel film del 1953 è solo perché iera sera all’Olimpico di Vicenza non hanno assistito all’interpretazione di Giannini: la zampata del leone ancora vigoroso. Potente. Travolgente lui e travolto letteralmente dagli applausi del pubblico. Chapeau.