LA CUCINA DI CARLO GOLDONI. Cosa e come si mangiava nella Venezia del Settecento? Sarde, sardoni (cioè acciughe) e poi la castradina, ossia il montone arrivato con gli schiavoni, vale a dire istriani e dalmati. Si scopre la cioccolata, è in gran spolvero il Caffè Florian, che in realtà era stato battezzato Alla Venezia trionfante dal suo fondatore, Floriano Francesconi. La bottega del caffè di Goldoni è dedicata tutta al locale sotto le Procuratie. Nella Venezia del Settecento i nobili non mangiavano pesce, bensì carne e spesso erano malati di gotta (malattia determinata da un eccesso di acidi urici, conseguenza di una dieta iperproteica). Siccome il frigorifero lo avrebbero creato 200 anni dopo, il popolo usava il saor e la salmistratura come sistemi per conservare il pesce. Erano tecniche di cucina importate, come del resto la frittura che giungeva dall’Asia.
BUONE TAVOLE ALLA VENEZIANA. Proprio ai gusti veneziani i ristoratori de Le Buone Tavole dei Berici hanno dedicato una serata svoltasi alle Vescovane sulla collina di Longare, poco fuori Vicenza. Giovanni Veronese, curatore indomito della deche i cinque cuochi del gruppo hanno valorizzato con sapienza e tecnica. Assolutamente strepitose le sarde ai sapori mediterranei su salsa al profumo di menta preparata da Monica Gianesin della trattoria Isetta di Val Liona. Prima di tutto le sarde non le ha fritte bensì cotte al forno. La salsa l’ha preparata schiacciando le teste e nel sugo ha quindi inserito limone e menta. Le sarde sono state presentate ripiene di pomodori secchi, mandorle tritate, prezzemolo e pan grattato. Naturalmente nel paitto è ben presente la cipolla, essenziale nel saor in quanto era il conservante principale.
BACCALA’ & QUAGLIE, SENZA DIMENTICARE LA “MOSA”. Del baccalà Roberto Berno, titolare della trattoria Al Sole di Castegnero, presidente dell’associazione, ha scelto le trippe del pesce che ha cotto e presentato con polenta biancoperla assieme a un sospetto di scorzone dei Berici. Una bella definizione che ricorda le signore inglesi d’altri tempi, le quali imitando Maggie Smith chiedevano un sospetto di latte nel loro tè. Berno ha scelto una parte difficile, perché le trippe hanno un gusto deciso, ma le ha trattate con maestria e il piatto s’è rivelato assai riuscito.
LA SEPPIA SORPRENDENTE. Davide Pauletto, cuoco laureato in chimica, padrone di casa, s’è espresso ad alti livelli con i cannelloni di seppia ripieni di stoccafisso in salsa veneziana. Per una volta la seppiacofs’è trasformata da contenuto in contenitore; il nero dell’inchiostro è diventato croccante e la salsa ha dato forza alla composizione.
Nuovo ingresso per le Buone tavole come Pauletto (e si tratta per entrambi di ottimi acquisti) è Renato Rizzardi della Locanda di Piero di Montecchio Precalcino. Renato ama le paste ripiene e anche stavolta ha dato prova della sua valentia: ha firmato un tortello con pasta al cacao ripieno di zucca e amaretti, con ragù di quaglia che è stato tra i piatti migliori della serata. Di alto livello anche il dolce preparato da Rizzardi: una cassata alla zucca con putàna ai fichi e mostarda di zucca.
La quaglia, o meglio la quaglietta disossata con porcini e tartufo l’ha servita Giuseppe Zamboni dell’omonia trattoria a Lapio di Arcugnano. Anche in questo caso c’è un diretto riferimento a Carlo Goldoni, che nelle sue commedie cita ampiamente la cacciagione come portata. A proposito di piatti tradizionali, da segnalare la mosa di zucca con ragù di lepre. Si tratta di un’antica tradizione contadina vicentina, ossia della zucca cotta nel latte e poi passata: ne esce una crema profumata alla quale Roberto Berno ha aggiunto un ragù per darle più sapore. Il ricordo di questo piatto, abituale nelle cucine contandine fino a 60 anni fa, è diffusissimo.