Parafrasando Sherlock Holmes, è proprio vero che l’indizio meno evidente è quello che hai sotto il naso. Come l’insegna di questo locale che si affaccia discreta da un varco di un muro di cinta su corso San Felice a Vicenza, al civico 225. Parliamo della vecchia Postumia, cioè la strada di accesso alla città da ovest: impossibile non passarci. È scritto solo “Comfort Food” e magari ci si butta l’occhio senza badarci granché. Si vede solo l’insegna: il locale è all’interno del fabbricato, nascosto in un cortile con l’aggiunta di una corsia stretta e tortuosa da percorrere. Insomma, bisogna proprio volerci andare. A patto che lo si conosca, appunto. Ma ne vale davvero la pena. Del resto, quell’area di san Felice a duecento metri dall’antica basilica è a metà del guado verso il futuro: era una zona industrial-artigianale un tempo, adesso una parte è ristrutturata e l’altra è spianata e recintata in vista di futuri destini.
Antonio Donnagemma, 53 anni, è l’artefice del locale da cinque anni. Papà e nonno orafi, tradizione imprenditoriale alle spalle, lui ha preferito laurearsi e ora si dedica alla gastronomia con risultati lodevoli. La passione è nata da giovane, quando al termine delle partite di pallacanestro radunava squadra e amici e cucinava per trenta persone. Ha frequentato assiduamente i grandi maestri, da Gualtiero Marchesi a Nadia Santini e traduce la loro lezione in piatti semplici e curati. Propone una cucina tradizionale di livello, con attenzione agli ingredienti che va a pescare anche in luoghi lontani. Dalla collaborazione e dalle conoscenze di Anna Laurenza, campana di origini, che cucina assieme a lui, escono per esempio delle interessanti fettuccine ai piselli. I piselli sono freschi (potete non crederci, ma è così: li ho visti e toccati) coltivati dall’azienda agricola di Ciro Agizza a Falciano del Massico, in provincia di Caserta che li spedisce a Vicenza ogni settimana da poco meno di un mese. Si tratta di primizie e piccole produzioni e, naturalmente, di una coltivazione biologica e sostenibile com’è nella filosofia dell’azienda.
Donnagemma ha voluto battezzare il suo locale Comfort Food per trasmettere e allargare l’idea di una cucina casalinga con un termine più internazionale, che ne elevasse il contenuto rispetto al significato andante che ha ormai assunto. Del resto il comfort food è un segmento importante della gastronomia, ma anche della nostra mente: l’aveva capito bene Andy Warhol quando ha celebrato la minestra Campbell’s nelle sue opere. Quelle scatolette erano davvero il comfort food degli americani durante la crisi del ’29, e lui le ha consegnate alla Storia, trasformandole in un icona d’arte. Allo stesso modo nella nostra storia sono scolpiti alcuni piatti che affondano le radici nella memoria collettiva: come il fegato alla veneziana, che nel locale è realizzato con brillantezza. Ma è presentato anche un interessante sformato di broccolo fiolaro, i bigoli con ragù di cortile, lo spiedo, il salame ai ferri con radicchio di Treviso, il nodino di vitello e così via. Il menu è consistente senza essere inutilmente dispersivo, la carta dei vini è contenuta ma spazia da bottiglie semplici a quelle importanti, il servizio ricco di cortesia. Il locale rispecchia la filosofia del proprietario-cuoco: due stanze linde e accoglienti, una trentina di coperti, e una parete-lavagna dove ognuno può lasciare una testimonianza. Uno scritto, un disegno, un commento su quello che ha assaggiato. Ne ho visto solo un altro che ha avuto e realizzato questa idea: Massimiliano Alajmo alle Calandre di Rubano. Lui ama ripetere che Gioco e Gusto non hanno solo l’iniziale in comune. Ha ragione.