Dieci anni fa, oggi, mancava Severino Trentin, cuoco di stile e cultura, che ha fatto splendere la tradizione in cucina e ha rinnovato profondamente la gastronomia vicentina. Nell’occasione, scrissi su Il Giornale di Vicenza questo pezzo con il quale intendo ricordarlo. Con lui e “Penacio” presentammo nel 2001 a Milano da Carlo Cracco (eccoci nella foto, ahimè quanto più giovani: Carlo è quasi irriconoscibile) il mio libro sul broccolo fiolaro edito da Terraferma.
Era un autentico signore, Severino. Ogni altra definizione quasi non serve. Di poche parole, ma con il sorriso dolce sempre sulle labbra, Severino Trentin ha insegnato a molti, con la modestia e l’intelligenza che non cercano ostentazione. E per questo tutti, nel mondo della gastronomia, lo stimavano e gli volevano bene, oltre che sentirsi debitori nei suoi confronti. «Era il migliore di noi – ricorda con la voce che trema dalla commozione Enzo “Penacio” Gianello. Ho perso il migliore amico. Con lui ho girato il mondo fino in Giappone. Assieme abbiamo conosciuto e frequentato i grandi. Da Zamboni abbiamo organizzato la prima cena con Gianfranco Vissani a Vicenza». Impossibile rivolgere un complimento a Severino: “Sono ben accette le critiche perché c’è sempre da imparare”, rispondeva immancabile.
Era arrivato alla cucina per tradizione di famiglia. Non aveva conosciuto il papà, che era morto sei mesi prima della sua nascita: saranno 52 anni il prossimo 2 agosto. Per questo mamma Margherita, che aveva già le figlie Miresa (Maria Teresa) e Luciana, mise il nome del marito al piccolo che portava in grembo. Diplomato perito al “Rossi”, Severino Trentin non aveva frequentato nessuna scuola alberghiera. Con il genio tipico dell’autodidatta di valore, però, ha innovato profondamente la cucina vicentina, semplicemente riscoprendone le tradizioni, e ha trasformato la grande famiglia di “Zamboni” (che oggi conta i cugini Lucia, Oreste, la moglie Susi, e poi Giuseppe e Giorgio) in una squadra affiatata e vincente. Era un leader ma lui ripeteva ostinato: «Non siamo chef, ma solo cuochi». Fedeltà a se stesso, non un falso understatement.
Il nome di Severino Trentin resterà legato per sempre alla valorizzazione del luccio del lago di Fimon, della cipolla ripiena e soprattutto del broccolo fiolaro di Creazzo, di cui fu il primo e più convinto riscopritore. Vladimiro Riva nel 2001 pubblicò un libro per valorizzare il broccolo, volume che fu presentato a Milano da Carlo Cracco. E il cuoco di Creazzo, oggi milanese di adozione, appresa la notizia della scomparsa del collega e amico, è affranto: «Che grande dolore!», ha commentato. Ricorda bene che lui e Penacio si mettevano in auto da Vicenza e andavano a prenderlo a Erbusco, quando lavorava da Gualtiero Marchesi per portarlo a casa nel week end.
Lo stile di Severino era inconfondibile: «Qualsiasi voto avesse in guida, anche se era diminuito rispetto all’anno precedente, ringraziava sempre», ricorda Gigi Costa, decano dei critici gastronomici del Nordest e responsabile della Guida de L’Espresso. Un altro amico, come Giulio Menegatti, esperto di vini francesi, ricorda un particolare: «Fu il primo, e credo l’unico, a scrivere nel menu: Se un piatto non vi piace, ve ne portiamo un altro di identico importo. Non è da tutti».
Consapevole della sua malattia, Severino ha continuato a lavorare. Sempre con serenità professionalità. Anche negli ultimi tempi, finché è riuscito a parlare, ha recitato il rosario. Aveva ragione lui quando sosteneva: “Prima di essere chef si è uomini”. E lui era un grande uomo. Addio, Severino.