La mia amica Alessandra Ronchi ha scritto questa recensione di “Sommersione” che volentieri condivido.
“Sommersione”, il secondo romanzo di Sandro Frizziero, in lizza per il SuperCampiello che verrà assegnato sabato 5 in piazza San Marco a Venezia, è un libro che non può non lasciare un segno. Il giovane scrittore chioggiotto di 33 anni lo ambienta nella sua terra e l’Isola del racconto assomiglia tanto a Pellestrina. Nel raccontarla, però, non fa nessuna concessione alla poesia del paesaggio. Il taglio è forte, drammatico, tanto che l’autore arriva a integrare l’Inferno dantesco: pagina dopo pagina compone un decimo girone, quello che contiene tutti i vizi, i peccati, le turpitudini che si ritrovano nei nove cerchi superiori. Ma nella sua opera non ci sono né un purgatorio né un paradiso. Niente lieto fine.
“Sommersione” è la storia di un vecchio rancoroso e della sua esistenza miserevole nell’Isola: non si avvertono nostalgia e rimpianto, solo la cronaca di una giornata in cui si susseguono ricordi, pensieri ed azioni che si ripetono da sempre e che sommergono la vita e la coscienza dell’uomo, come la marea che si alza e si abbassa e può ricoprire tutto.
Il libro dà la sensazione di ingoiare carta vetrata che graffia, brucia, fa male, mettendo in luce con impeccabile realismo gli aspetti peggiori dell’umanità, quelli che ipocrisia e presunzione di civiltà nascondono. Il protagonista, e così tutti i vecchi e le donne dell’isola, incarnano i difetti e le debolezze del genere umano. E ciò che colpisce è il fatto che emergano solo questi aspetti dei personaggi, quasi che l’esistenza sia un orrido abisso, il girone, appunto, dell’inferno.
Non mancano però toni ironici, sarcastici, graffianti in qualche pagina del romanzo, ma l’autore decide di mettere in luce solo il “sommerso” degli individui, trascinati al fondo da vizio, invidia, sesso, religione; la sua penna diventa così implacabile, senza cedere mai alla compassione. Ne risulta un mondo primitivo, fatto di istinti che trionfano nella fase conclusiva della vita, una vecchiaia che è odio, rancore, rabbia e squallore.
E intanto aspetti che arrivi almeno un spiraglio di redenzione per l’essere in cui non ti vuoi riconoscere, quel filino di umanità che appartiene, così dicono, ai cristiani. Invece no, nemmeno un barlume. Si avverte che la carità cristiana è materia religiosa, che fa parte dell’immaginario, non della realtà, non di questa storia.
È un romanzo crudele ed arrabbiato fino alle ultime righe, eppure potentissimo: potente la storia, quella di un vecchio senza nome, di cui si ripercorre la vita nell’isola attraverso ricordi e pensieri. Quest’uomo non ha pietà per nessuno, neppure per se stesso: è prigioniero volontario di un mondo dal quale non riesce e non vuole scappare. Potente la lingua, scarna, essenziale, con parole ed immagini che ti colpiscono allo stomaco. Potente l’occasione di riflettere sull’umana condizione: con una scrittura matura e che sa di vissuto, a dispetto della giovane età, Frizziero riesce a toccare le corde più intime.
Alessandra Ronchi