Vale la pena di ricordare che Pennacchi è diventato celebre grazie al suo personaggio, certo, ma è da venticinque anni che è sulla scena. Ha mestiere, capacità e versatilità (come ha dimostrato brillantemente nel serial “Petra” con Paola Cortellesi, dove non si sa bene chi è spalla di chi) e ha pure un dottorato in filologia, ma questo lo sanno solo gli addetti ai lavori. I classici li conosce e li mastica. Anzi, li ha pure digeriti. Tant’è vero che Omero l’ha già affrontato con successo con la sua “Iliade”, una costola di “Eroi”, spettacolo nato molti anni fa con la regia di Mirko Artuso, finalista al Premio off 2011 del Teatro Stabile del Veneto. E non è poco.
Ora, non si tratta di dimostrare che un attore comico riesce a essere anche drammatico. Quello – si sa – è abbastanza facile, mentre è assai difficile il contrario, cioè che un attore drammatico riesca a far ridere. Lo spiegava anche Totò. Pennacchi non vuole superare un esame, non ha cioè bisogno di mettersi la lunga tunica per diventare altro da se stesso.
Affronta l’Odissea con sapienza, si vede che padroneggia la materia: sa porgerla con levità e con efficacia, con un modo misurato, colloquiale e profondo che suscita un coinvolgimento diretto di chi ascolta. È un racconto appassionato e appassionante, il suo, come appunto tali erano i miti quando erano riferiti oralmente. Sa usare il dialetto e anche qualche battuta estemporanea rispetto ai tempi di Omero, ma è proprio qui che dimostra il suo valore. Intendo dire: sarebbe stato semplice per chiunque buttare tutto in caciara, banalizzare il testo trasformandolo in una sorta di parodia del tipo “Le avventure di Franco e Ciccio nel Mediterraneo”. Ne sarebbe uscito un burlesque, foriero di grasse risate, ma alla fine un fondo amaro sarebbe rimasto sui gradoni dell’Olimpico. E certamente un raffinato come Giancarlo Marinelli non lo avrebbe chiamato agli spettacoli classici.
Così, anche qualche sorriso che nasce dalle sue battute rafforza il legame. Così, quando scherza sull’abbraccio tra Odisseo e Telemaco, spiegando che piangono commossi come due pojane, si capisce che è uno scherzo, un’autocitazione che serve a sdrammatizzare. Oppure quando racconta di un colpo al braccio ricevuto diritto sull’òmero, è evidente l’intento di omaggiare l’autore e non prenderlo in giro.
Ci ha messo, racconta, una vita a mettere in piedi questa Odissea perché ti prende dentro fino in fondo. L’Iliade è stata più facile, commenta. A dargli una mano i tre musicisti, Giorgio Gobbo (chitarra), Annamaria Moro (violoncello) e Gianluca Segato (lap steeel guitar) che lo hanno sostenuto con eleganza, con musiche spesso rarefatte ma sempre pronte a sottolineare i differenti momenti senza prevaricare.
La speranza dopo le due repliche vicentine è che la “Piccola Odissea” trovi spazio in altri teatri, magari nelle scuole, perché se agli studenti racconti così i classici è davvero più facile farli innamorare. Vai, Andrea, Omero è contento del tuo lavoro: dal lassù avrà sorriso e applaudito anche lui. E da quaggiù anche la famiglia Angela approva. Magari finisci a Superquark: hai visto mai? Barbero e la sua storia medievale insegnano.